Il diario dell’uovo – giorno 3

28/06/2023

Oggi sono stato quasi tutto il giorno nel frigorifero, avevo quasi perso la speranza che Laura mi tirasse fuori. Stamattina, qualcuno ha aperto lo sportello per prendere qualcosa, ma l’ha richiuso quasi subito, facendo crollare ogni mia illusione. Poi, la casa è rimasta silenziosa per molte, molte ore. Di solito, di tanto in tanto, sento le loro voci, le mani che si avvicinano alla mia cassetta, ma oggi si sono preparati tutti in fretta e sono usciti presto. Ho sentito la bimba piangere, ha detto a Laura che non aveva voglia di andare a scuola, che voleva stare con lei. Allora Laura le ha dovuto spiegare che i grandi devono lavorare per poter vivere, e che andare a scuola è divertente e importante. Si sentiva dal tono della sua voce che le dispiaceva vedere la figlia triste, ma non credo fosse in discussione nessun’altra possibilità  a parte quella di andare a scuola.

Poi, quando ormai era quasi sera, finalmente mi hanno “liberato”. Questa volta però, le mani che mi tenevano erano più piccole di quelle di Laura, più insicure, e ho di nuovo avuto paura di cadere e rompermi. Ho sentito che Laura diceva a Lia, così si chiama la bambina che mi tiene in mano, che io ero l’Uovo di cui le aveva parlato quel pomeriggio, e che ora potevano scegliere un nome per me. 

Lia mi ha appoggiato sul tavolo, sotto l’attenta supervisione di sua madre, e mi ha detto “ciao Uovo. Penso che un bel nome per te sia Rosina, perché sei un po’ rosa”. Laura ha detto che le piaceva molto questo nome, che era azzeccatissimo per me, e che ora se Lia voleva poteva scrivere il nuovo nome sul mio guscio. Lia però ha detto che era troppo complicato e si è limitata a disegnare una faccina sorridente, mentre Laura scriveva con un pennarello viola le lettere R-O-S-I-N-A su di me, facendomi un po’ di solletico. Come mi sono sentito importante! Un nome! Un nome cambia tutto, significa che ora sono un po’ parte della famiglia anche io, significa che per loro adesso sono qualcuno, non solo qualcosa. Avrei voluto congelare quel momento, poter vedere per sempre quegli occhioni nocciola che mi guardavano, sentire quelle manine che mi accarezzavano… era forse questa la felicità? Era forse per questo che ora che avevo provato la gioia di significare qualcosa per qualcuno avevo all’improvviso una paura terribile di smettere di esistere, di non poter più sperimentare l’intensità di questo sentimento?

Di nuovo Laura: – Lia, porta fuori Rosina, stasera cena con noi.

Lia: – Va bene mamma, la metto vicino a me così posso raccontarle delle cose. 

Siamo usciti in terrazza, una bella terrazza con un tavolo e quattro sedie, due biciclette e un sacco di piante. Un po’ disordinata, si vede che nessuno le presta molta attenzione, visto che molte delle piante sono secche e coperte di erbacce e alcuni vasi sono addirittura vuoti, o al massimo contengono un po’ di terra arida. 

Lia mi racconta un sacco di cose, in effetti. Lo fa mentre mangia, disordinatamente e facendo cadere un sacco della pastina della minestra per terra. Dice che innanzitutto devo sapere cosa c’è sul tavolo: piatti, bicchieri, cucchiai e forchette. Poi che è importante che io conosca le macchine, che sono delle scatole con quattro ruote che servono per andare lontano, mi spiega. 

Faccio fatica a non perdere il filo del discorso: Lia ha un timbro di voce squillante, ma parla in modo bizzarro, mescolando continuamente parole in italiano e in catalano, e spesso inventando alcuni termini di cui si può dedurre il significato ma che sono degli assurdi ibridi tra le due lingue: ordenadore, avione, un gloppetto d’acqua, uno scheleto. In pochi minuti, è passata dalle automobili alla scuola agli uccelli, che secondo lei lavorano instancabilmente tutto il giorno non si sa a quale progetto, ai dinosauri (sarebbe stato meglio, dice, se fossero stati tutti erbivori; allora avrebbero potuto vivere tranquillamente con gli uomini) e infine a come si fa una pellicola, un film. Dice che l’hanno imparato a scuola e che lei sa molte più cose di noi ormai.

Mi sembra una bambina curiosa, che ha talmente tante cose nella testa che fatica a metterle in fila e dare forma e voce ai pensieri; in un paio di occasioni, infatti, si perde tra i suoi ragionamenti arzigogolati e chiede a Laura: cosa stavo dicendo? La seconda volta che lo fa, Laura è palesemente distratta e non ricorda di cosa sta parlando la figlia, allora Lia si arrabbia molto. Penso che sia una bambina che ha estremo bisogno di attenzione, e che fa fatica a gestire uno scambio di idee perché dal suo punto di vista, le sue sono sempre e comunque le più valide, le uniche che contano. Mi chiedo se a scuola i suoi amici la ignorino, se si è mai sentita così minuscola come me, quasi invisibile, e se ha paura di diventare grande e del futuro. Penso che anche io, come lei, avrei voluto essere un leader, ma che mi manca il carisma per farmi rispettare ed essere un esempio per gli altri.

Il papà, Victor, è il più difficile dei tre da decifrare. A cena è tranquillo, parla poco, ride ai discorsi di Lia e la guarda continuamente, come se volesse recuperare tutti i minuti della giornata in cui non l’ha avuta davanti agli occhi. Si vede che le vuole molto bene, che è il centro del suo mondo, ma si capisce anche che c’è qualcos’altro che occupa i suoi pensieri. Ogni tanto da un’occhiata al telefono cellulare che tiene accanto al piatto, sembra non possa fare a meno di consultarlo frequentemente, e io che sono attento ai dettagli ho capito che questo comportamento da fastidio a Laura, che lo guarda di sottecchi con disapprovazione. Penso che lei debba aver rinunciato ad esigere la sua piena attenzione, ad attendere le sue domande, il suo interesse genuino. Si vogliono bene, queste cose si percepiscono, si stanno godendo una normale cena familiare e l’atmosfera è all’apparenza rilassata, ma sento che tra di loro c’è qualcosa di irrisolto, una leggera tensione.  

Il tempo è volato questa sera, ma mentre il cielo si scurisce e io vengo riposto nuovamente nella mia piccola casetta semiovale, penso che oggi non mi dispiace riposare un po’ e godermi la tranquillità delle cose sicure. Troppe emozioni, tutte insieme, mi hanno sfinito, ora è tempo di abbandonarsi al dolce far niente.


Hoy estuve en la nevera la mayor parte del día, casi había perdido la esperanza de que Laura me sacara de ahí. Esta mañana, alguien abrió la puerta para buscar algo, pero la cerró casi de inmediato, destrozando todas mis ilusiones. Luego, la casa quedó en silencio durante muchas, muchas horas. Por lo general, de vez en cuando oigo sus voces, noto sus manos moviendose cerca de mi caja, pero hoy todos se prepararon rápidamente y salieron temprano. 

Escuché a la niña llorar, le dijo a Laura que no quería ir a la escuela, que quería estar con ella. Así que Laura tuvo que explicarle que los adultos tienen que trabajar para vivir, y que ir a la escuela es divertido e importante. Por el tono de su voz, se notaba que lamentaba ver a su hija triste, pero no creo que hubiera otra posibilidad en cuestión que ir a la escuela.

Luego, cuando ya era casi de noche, finalmente me “liberaron”. Esta vez, sin embargo, las manos que me sujetaban eran más pequeñas que las de Laura, más inseguras, y nuevamente tuve miedo de caerme y romperme. Escuché a Laura decirle a Lia, ese es el nombre de la niña que me tenía en su mano, que yo era el Huevo del que le había hablado esa tarde, y que ahora podían elegir un nombre para mi.

Lia me colocó sobre la mesa, bajo la atenta supervisión de su madre, y me dijo “hola Huevo. Creo que un buen nombre para ti es Rosina, porque eres un poco rosada”. Laura dijo que le gustaba mucho este nombre, que era perfecto para mí, y que ahora si Lia quería podía escribirlo en mi cáscara. Pero Lia dijo que era demasiado complicado y se limitó a dibujar una carita sonriente, haciéndome un poco de cosquillas. 

¡Qué importante me sentía! ¡Un nombre! Un nombre lo cambia todo, significa que ahora yo también soy un poco parte de la familia, significa que para ellos soy alguien, no solo algo. Quería congelar ese momento, poder ver esos grandes ojos color avellana mirándome para siempre, sentir esas manitas acariciándome… ¿era esto acaso la felicidad? ¿Será acaso por eso que ahora que había sentido la alegría de significar algo para alguien, de repente tenía un miedo terrible de dejar de existir, de no poder experimentar más la intensidad de este sentimiento?

Laura, otra vez: – Lia, saca a Rosina, cena con nosotros esta noche.

Lia: – Está bien mamá, la pondré a mi lado para poder contarle algunas cosas.

Salimos a la terraza, una bonita terraza con una mesa y cuatro sillas, dos bicicletas y muchas plantas. Un poco desordenada, se nota que nadie le hace mucho caso a este espacio, ya que muchas de las plantas están secas y cubiertas de malas hierbas y algunas macetas incluso están vacías, o como mucho contienen un poco de tierra.

Cómo había anunciado, Lia me cuenta muchas cosas. Lo hace mientras come, de manera rápida y dejando caer la sopa de fideos al suelo. Dice que primero necesito saber qué es lo que hay en la mesa: platos, vasos, cucharas y tenedores. En segundo lugar, es importante que conozca los coches, que son cajas de cuatro ruedas que sirven para llegar lejos, explica.

Me cuesta no perder el hilo de la conversación: Lia tiene un timbre de voz resonante, pero habla de forma extraña, mezclando constantemente palabras en italiano, catalán y castellano, y muchas veces inventando algunos términos cuyo significado se puede deducir pero que son híbridos absurdos entre los diferentes idiomas: ordenadore, avione, un gloppetto de agua, un esqueletro. En pocos minutos, pasa de los coches a la escuela, a las aves, que según ella trabajan incansablemente todo el día en quién sabe qué proyecto, a los dinosaurios (hubiera sido mejor, dice, si todos hubieran sido herbívoros; entonces, podrían haber vivido en paz con los hombres), y finalmente a cómo hacer una película. Dice que lo aprendieron en la escuela, y que ella sabe mucho más que nosotros ahora.

Me parece una niña curiosa, que tiene tantas cosas en la cabeza que le cuesta alinearlas y dar forma y voz a sus pensamientos; en un par de ocasiones, de hecho, se pierde en su enredado razonamiento y le pregunta a Laura: ¿qué estaba diciendo? La segunda vez que lo hace, Laura está claramente distraída y no recuerda de qué está hablando su hija, por lo que Lia se enfada mucho. Creo que Lia necesita mucha atención (quién no?), y que le cuesta gestionar un intercambio de ideas porque, desde su punto de vista, las suyas son siempre las más válidas, las únicas que cuentan. Me pregunto si sus amigos de la escuela la ignoran, si alguna vez se ha sentido tan pequeña como yo, casi invisible, y si tiene miedo de crecer y del futuro. Creo que a mí también, como a ella, me hubiera gustado ser líder, pero que me falta el carisma para ser respetado y ser un ejemplo para los demás.

El padre, aun no he entendido cual es su nombre, es el más difícil de leer de los tres. En la cena está tranquilo, habla poco, se ríe de los discursos de Lía y la mira continuamente, como si quisiera compensar todos los minutos del día en los que no la tuvo frente a sus ojos. Está claro que la quiere mucho, que ella es el centro de su mundo, pero también se nota que hay algo más que ocupa sus pensamientos. De vez en cuando echa un vistazo al móvil que guarda junto a su plato, parece que no puede evitar consultarlo con frecuencia, y como soy atento a los detalles, entiendo que este comportamiento moleste a Laura, que lo mira de reojo con desaprobación. Creo que ella debe haber renunciado a exigir toda su atención, a esperar sus preguntas, su interés genuino. Se quieren, estas cosas se perciben, están disfrutando de una tranquila cena familiar y el ambiente aparentemente es relajado, pero siento que hay algo sin resolver entre ellos, una leve tensión.

El tiempo ha pasado volando esta noche, pero a medida que el cielo se oscurece y se acerca el momento en que me colocarán de nuevo en mi casita semiovalada, me doy cuenta que hoy no me importa descansar un poco y volver a la tranquilidad de las cosas seguras. Demasiadas emociones, todas juntas, me han agotado, ahora es el momento de disfrutar del dolce far niente.