Il diario dell’uovo – giorno 5

30/07/2023

La mia data di scadenza è passata da un pezzo. Lo so perché il mio tuorlo e l’albume stanno lentamente cambiando consistenza e odore, da fuori ancora non si sente nulla ma qui dentro aleggia una leggera puzza di zolfo. Se ora mi immergessero in un bicchiere pieno d’acqua, non andrei a fondo come succede alle uova fresche, quelle che sono state deposte da pochi giorni, ma resterei a galla, segno inequivocabile che non valgo più a nulla, che sono da buttare. In pochi sanno che il mio guscio non è una corazza impenetrabile, ma piuttosto una superficie porosa piena di piccoli buchetti, che fanno passare sempre più aria ogni giorno che passa. E l’aria è mia nemica.

Non che mi importi la mia data di scadenza; io sono stato destinato ad altro, a un fine superiore che essere strapazzato e mangiato. Io sono diventato amico di una persona. Ma anche questo esperimento ha un termine, e sono sicuro che si sta avvicinando, anche se è successivo a quello scritto sul mio guscio. Vorrei dire a Laura: perché non mi cuoci e mi fai dipingere da Lia, per poi usarmi come decorazione? Non mi succederebbe nulla, il calore non mi fa paura, io sono solo un’anima, ma voglio stare qui, con voi, non voglio mutare in qualcosa di sconosciuto. E invece, finirò chissà dove, presto scoprirò cosa succede quando il mio guscio poroso si rompe, quando la mia casa viene distrutta.

L’esperimento è ormai agli sgoccioli, ne sono sicuro. L’entusiasmo che Laura dimostrava nei miei confronti i primi giorni è ormai scemato; la novità, l’aspetto folle e divertente di questo gioco hanno lasciato il posto ad altri appuntamenti, incombenze, piaceri. Gli esseri umani devono essere così, per loro tutto ha una data di scadenza, nulla importa davvero a lungo.

Ma poi, anche oggi, quando credevo ormai che tutto fosse perduto, la vita mi ha smentito. Laura è tornata ad afferrarmi, stavolta mi ha guardato per un bel po’ come se cercasse prove del mio cattivo stato, e non ha detto nulla. Che peccato non poter sentire la sua voce, che peccato notare che la distanza tra noi aumenta, che lei non ci crede più, a qualsiasi cosa si fosse instaurata tra di noi.

Ha il viso corrucciato, sta cercando di prendere una decisione, credo che il dubbio sia come trasportarmi. Alla fine opta per una piccola scatolina ovale di plastica, gialla, in cui mi inserisce avendo cura di chiuderla bene, finché non sente il clic. Penso che Lia avrebbe voluto per me, Rosina, una scatola rosa. 

Ora il dubbio è sulla borsa: dopo un paio di prove, ne sceglie una che aderisce al suo petto, una specie di cintura con uno spazio per riporre cose, che mi fa sperimentare un contatto con il suo corpo – anche se mediato da un paio di strati di plastica e tela – piacevole. 

Partiamo. La prima sensazione è il caldo estremo, poi arrivano di nuovo i rumori, forti, quasi spaventosi. È una camminata piuttosto lunga, stavolta non sento la voce di Laura che parla vicino al telefono, forse oggi ha voglia di pensare, di stare in silenzio anche se tutto intorno la città bolle. Mi è parsa stanca prima, aveva gli occhi un po’ gonfi di chi ha dormito poco, o ha pianto. Come fanno le persone a sopportare l’infelicità degli altri? Posso accettare la mia, posso accettare la mia fine, ma vedere il dolore in chi amo, quello è troppo. 

Dopo un tempo piuttosto lungo in cui penso che potrei esplodere dal caldo, Laura suona a una porta. Apre una donna, si salutano e dopo qualche convenevole Laura entra in una stanza dove saluta altre persone. Mi tiene sempre stretto al petto, in quella borsetta – cintura che mi fa sentire come quando ho sfiorato, per pochi secondi, le piume calde della mia mamma.

Laura si siede, e dopo poco la stessa donna che aveva aperto la porta inizia a parlare; chiede come si sentono tutti, come stanno ora che sono in quella stanza. I presenti cominciano a parlare, uno dopo l’altro, con calma. Ci sono un uomo e tre donne. Ognuno racconta cose intime di sé, sensazioni vissute nelle ore precedenti all’incontro, problemi che sta affrontando, si sollevano temi importanti come la morte di una persona cara, l’ansia, la maternità. Ogni tanto, la donna della porta fa qualche domanda, chiede chiarimenti, puntualizza alcune cose.  

Laura parla per ultima. Dice che si sente stanca, che ha troppe cose da fare e che fatica a trovare spazio per ciò che la fa stare bene, che a volte fatica proprio a capire cosa la faccia stare bene, perché non si ascolta abbastanza. Poi, dal nulla, parla di me. Rivela di avere un uovo nel marsupio, è molto imbarazzata ma doveva confidarsi con il gruppo, spiega che è per un esperimento di un corso di scrittura, che lo deve portare con sé per una settimana e fargli vivere pezzi della sua vita. Gli altri ascoltano e ridacchiano, poi fanno qualche domanda: e se si rompe? Ma te lo porti al lavoro? Lo tiri fuori ogni tanto dalla borsa? Lei risponde ai dubbi e dice a tutti di non preoccuparsi, che quello che racconta dell’uovo non lo leggerà nessun altro, che ciò che si dice nel gruppo è al sicuro.

Sono felice che abbia parlato di me, nessuno di loro avrebbe mai immaginato che un uovo potesse vivere simili avventure, far parte della vita di una persona in modo così intimo. Nessuno crederebbe mai al fatto che sono un essere pensante, che posso provare emozioni, che posso sentirli. E, forse, è meglio così. Non dare nell’occhio, restare in disparte. Durante queste incredibili giornate con Laura ho capito una cosa: quello che c’è fuori non conta, la rivoluzione avviene sempre, e comunque, dentro.


Mi fecha de caducidad ha pasado ya hace tiempo. Lo sé porque mi yema y albúmina están cambiando lentamente de consistencia y olor, todavía no se puede notar nada desde fuera pero un ligero olor a azufre se cierne dentro. Si ahora me sumergieran en un vaso lleno de agua, no iría al fondo como ocurre con los huevos frescos, los que llevan pocos días puestos, sino que quedaría a flote, señal inequívoca de que ya no valgo nada, que debo ser desechado. Poca gente sabe que mi cáscara no es una armadura impenetrable, sino una superficie porosa llena de pequeños agujeros, que cada día que pasa deja entrar más y más aire. Y el aire es mi enemigo. 

No es que me importe mucho mi fecha de caducidad; yo estaba destinado a algo más, a un fin más alto que ser revuelto y comido. Me he hecho amigo de una persona. Pero incluso este experimento tiene un final, y estoy seguro de que está cada vez más cerca, aunque sea después del que está escrito en mi cáscara. Me gustaría decirle a Laura: ¿por qué no me hierves y Lia me pinta y luego me usas como decoración? No me pasaría nada, el calor no me asusta, solo soy un alma, pero quiero estar aquí, contigo, no quiero convertirme en algo desconocido. En cambio, terminaré quién sabe dónde, pronto descubriré qué sucederá cuando mi cáscara porosa se rompa, cuando mi casa sea destruida. 

El experimento ya está terminando, estoy seguro. El entusiasmo que Laura mostró hacia mí los primeros días ahora se ha desvanecido; la novedad, el aspecto loco y divertido de este juego han dejado paso a otras citas, tareas, placeres. El ser humano tiene que ser así, para él todo tiene fecha de caducidad, en realidad nada importa por mucho tiempo. 

Pero entonces, incluso hoy, cuando ya creía que todo estaba perdido, la vida me demostró de nuevo que estaba equivocado. Laura volvió a agarrarme, esta vez me miró un buen rato como si buscara evidencias de mi mal estado, y no dijo nada. Que pena no poder escuchar su voz, que pena notar que la distancia entre nosotros aumenta, que ya ha olvidado lo que pasó entre ella y yo. 

Está frunciendo el ceño, trata de tomar una decisión, creo que la duda tiene que ver con  como llevarme. Al final se decanta por una cajita ovalada de plástico amarillo, en la que me mete, con cuidado de cerrarla bien, hasta que oye un clic. Creo que Lia hubiera querido una caja rosa para mí, Rosina. 

Ahora la duda es sobre el bolso: después de un par de intentos, elige uno que se pega al pecho, una especie de cinturón con un espacio para guardar cosas, y pienso que ese contacto con su cuerpo -aunque sea mediado por un par de capas de plástico y lona- ​me gusta. 

Por fin salimos de casa. La primera sensación es el calor extremo, luego vuelven los ruidos fuertes, casi aterradores. Es una caminata bastante larga, esta vez no escucho la voz de Laura hablando cerca del teléfono, tal vez hoy quiera pensar, callar aunque la ciudad esté hirviendo a su alrededor. Parecía cansada antes, sus ojos estaban un poco hinchados, como los de alguien que ha dormido poco, o que ha llorado. ¿Cómo maneja la gente la infelicidad de los demás? Puedo aceptar la mía, puedo aceptar mi final, pero ver el dolor en los que amo, eso es demasiado. 

Después de mucho tiempo pensando que podría explotar por el calor, Laura toca un timbre. Abre una mujer, se saludan y después de unas palabras de cortesía Laura entra en una habitación donde saluda a otras personas. Siempre me tiene pegado a su pecho, en ese bolso-cinturón que me hace sentir como cuando toqué por unos segundos las cálidas plumas de mi mamá. Laura se sienta, y al cabo de un rato la misma mujer que había abierto la puerta empieza a hablar; pregunta cómo se sienten todos, cómo están ahora en esa habitación. 

Los presentes comienzan a hablar, uno tras otro, con calma. Hay un hombre y tres mujeres. Todos cuentan cosas íntimas de sí mismos, sensaciones vividas en las horas previas al encuentro, problemas que están enfrentando, se plantean temas importantes como la muerte de un ser querido, la ansiedad, la maternidad. De vez en cuando, la mujer de la puerta hace algunas preguntas, pide aclaraciones, señala algunas cosas. Laura habla por última. Dice que se siente cansada, que tiene demasiadas cosas que hacer y que le cuesta encontrar espacio para lo que la hace sentir bien, que a veces realmente le cuesta entender lo que la hace sentir bien, porque no se escucha lo suficiente. Luego, de la nada, habla de mí. Revela que tiene un huevo en su bolsa, que está muy avergonzada pero tiene que confiar en el grupo, explica que es para un experimento de un curso de escritura, que debe llevarlo con ella durante una semana y dejarlo experimentar pedazos de su vida. 

Los demás escuchan y se ríen un poco, luego hacen algunas preguntas: ¿Qué pasa si se rompe? ¿Pero lo llevas al trabajo? ¿Lo sacas de tu bolso de vez en cuando? Laura responde las dudas y les dice a todos que no se preocupen, que lo que ella diga sobre el huevo no lo leerá nadie más, que lo que se comente en el grupo está a salvo.

Me alegro de que hablara de mí, ninguno de ellos hubiera imaginado jamás que un huevo pudiera vivir tales aventuras, ser parte de la vida de una persona de una manera tan íntima. Nadie creería jamás que soy un ser pensante, que puedo experimentar emociones, que puedo sentir lo que dice la gente. Y tal vez sea lo mejor. No llames la atención, mantente al margen. Durante estos increíbles días con Laura entendí una cosa: lo de afuera no cuenta, la revolución siempre pasa, y en todo caso, dentro.