La stanza accanto
Questo ricordo riguarda le stanze, una stanza in particolare.
Una stanza lunga e stretta, con un letto piccolo e scomodo e un armadio IKEA, uno di quelli basic, per studenti. Poca luce, gialla.
Era la stanza accanto. Il nome dell’ultimo film di Pedro Almodovar, fresco vincitore del Leone d’Oro a Venezia, mi ha riportato alla mente l’immagine di uno spazio che avevo dimenticato. Ho avuto di nuovo nelle narici il suo odore, di soffritto e spray sgrassante, di umidità e aria del sud.
Ero rimasta in quella stanza per un paio di notti, perché avevo lasciato la mia – un po’ più grande e confortevole – a un’amica.
In quell’anno del pensiero magico, io e lei passavamo molte notti in stanze che non erano le nostre, avvolte in lenzuola spesso impregnate di odori diversi ed effimeri. Sapevi come sarebbe iniziata la serata, ma mai come sarebbe finita, ed è questa sensazione di eccitante vuoto che a volte mi riempie di malinconia oggi. So che non la vivrò più.
In una di queste notti di euforia collettiva ho incontrato lui. Non avevamo molto in comune, ma ho finto di sì, per attirare la sua attenzione. Non ricordo esattamente cosa abbiamo fatto prima, ma a un certo punto l’ho invitato a casa e lui ha accettato di seguirmi. Quando siamo arrivati, la mia stanza era occupata da Laurine, la mia amica tedesca che aveva le chiavi dell’appartamento (perché nel suo erano tutti svedesi noiosissimi), e dal suo nuovo flirt. Argentino, erano sempre argentini.
Bussai discretamente alla porta: “Dormi nella stanza accanto tesoro, per favore!” mi gridò in tono supplichevole e con il suo buffo accento spagnolo.
Ero un po’ imbarazzata, avrei voluto impressionarlo con uno spazio più originale e accogliente; ma era più una cosa mia, non credo a lui importasse.
Una volta in camera si sedette sul letto duro, si arrotolò una sigaretta e, dopo aver fumato a lungo in silenzio, mi guardò con i suoi occhi liquidi e tristi e disse, indicando un vecchio computer appoggiato a una scrivania mezza rotta: “Questo computer funziona?”.
Risposi di sì, mentre aprivo una birra, nervosa per il fatto di non sapere se quell’incontro avrebbe avuto un significato per me e soprattutto per lui.
“Oggi ho scaricato un film che volevo vedere da tempo, ce l’ho qui sulla mia USB. Ti piacerebbe guardarlo insieme?”, continuò.
Io in realtà volevo solo baciarlo, scoprire il suo mistero e rimanere a vivere in quello stato d’animo, anche se fosse stata la cosa più difficile del mondo, ma dissi di sì. Non gli chiesi nemmeno il titolo del film.
Ci sedemmo sul piumone con le gambe incrociate, fianco a fianco, con l’odore di soffritto a farci compagnia (alle due di notte? Improbabile, ma me lo ricordo così) e l’aria densa di attesa.
Il film era Parla con lei di Pedro Almodovar. Lo vidi nella stanza accanto, e da allora è diventato il mio film preferito.
Non ho mai scoperto il segreto di quel ragazzo dagli occhi liquidi e tristi, ma so che era sicuro che avrei amato quel film.